Un’aspirazione chiusa nel giro di una rappresentazione, ecco l’arte.
(Benedetto Croce)
Benedetto Croce |
Definire il concetto di Arte è pressoché
impossibile dato il suo carattere soggettivo e non oggettivo. Benedetto Croce,
uno dei filosofi più in vista del ‘900,
ne diede però una definizione abbastanza completa: «l’arte è ciò che tutti sanno che cosa sia». Per comprendere meglio
questa affermazione, bisogna risalire alla classificazione che Croce aveva
fatto dello Spirito. Esso si divide in due forme fondamentali: teorica e
pratica. È alla prima che l’Arte appartiene, insieme alla filosofia stessa, e
si definisce come ‘intuizione individuale’ che fa riferimento alle singole
entità. Partire da intuizione era
necessario per mettere in chiaro, fin dall’inizio, che non vi era niente in
comune con la definizione di bellezza oggettiva che Kant aveva dato – per cui
il bello è ciò che procura piacere, un piacere necessario e riconosciuto dalle
masse. L’Arte per Croce ha una connotazione tutta intima e inspiegabile (cioè
a-logica): percezione. Non può esistere bellezza, quindi, al di fuori
dell’individuo che la avverte, della fantasia che lo crea. Non si può, insomma,
considerare l’Arte prescindendo da chi l’ha pensata e da chi la sta ricevendo:
«la fantasia dell’innamorato crea la
donna a lui bella e la impersona in Laura; la fantasia del pellegrino il
paesaggio incantevole o sublime e lo impersona nella scena di un lago o di una
montagna». Oltre a ciò, la materia artistica, essendo parte di quella forma
teoretica dello Spirito, non è soggetta all’utile o alla morale. Non è quindi
da considerarsi subordinata a ciò che viene ritenuto dalla società ripugnante,
né deve avere uno scopo se non quello di ubbidire a quel dovere morale
dell’arte che ha come fine l’arte stessa,
ossia la bellezza. Una bellezza che deriva dalla contemplazione, riflessiva
e costante, dei sentimenti, delle passioni, di tutto ciò che agita il cuore
dell’uomo. Tutto ciò, però, depurato dalla tumultuosità che deriva
dall’immediatezza della sensazione. Scriveva Svevo che era attraverso la
scrittura che meglio comprendeva lui stesso. È proprio per questo motivo che la
forma – che può essere l’immagine, la scrittura, il suono – in cui viene
rinchiuso quel sentimento che sta generando Arte diventa un processo di
catarsi; un modo quindi di distanziare ciò che si prova per guardarlo
attraverso una lente d’ingrandimento. Arte è, quindi, tutto ciò che suscita
emozione nell’animo umano; tutto ciò che provoca turbamento, che esplode
nell’aria come un richiamo atavico, risalente dalle viscere stesse del proprio
corpo. E la bellezza, quella vera, provoca un piacere disinteressato, un
piacere in grado di liberare dal dolore e restituire la libertà. Era questo,
del resto, che affermava Schopenhauer, ammettendo che l’Arte è una delle vie di
liberazione da quelle dinamiche che cercano di appropriarsi della nostra
esistenza privandoci della facoltà d’azione. E la cosa più stupefacente, quella
che sembra quasi paradossale per quanto è vera, è che nonostante l’Arte sia
intuizione individuale, nasconde sempre un qualcosa di universale. È per questo
che ne siamo attratti: perché racconta, sempre, di noi. «In essa [nell’arte], il singolo palpita della vita del tutto, e il
tutto è nella vita del singolo; ed ogni schietta rappresentazione artistica è
se stessa e l’universo. In ogni accento di poeta, in ogni creatura della sua
fantasia, c’è tutto l’umano destino, tutte le speranze, le illusioni, i dolori,
le gioie, le grandezze e le miserie umane, il dramma intero del reale, che
diviene e cresce in perpetuo su se stesso, soffrendo e gioendo». (Benedetto
Croce)
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RispondiEliminaCiao, nuova follower; complimenti per blog e recensioni; qui la mia ultima recensione se ti va di darci un'occhiata: https://ioamoilibrieleserietv.blogspot.it/2017/09/recensione-questo-canto-selvaggio.html
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