venerdì 14 ottobre 2016

La donna che sfidò la vita


L'angoscia e il dolore. Il piacere e la morte non sono nient'altro che un processo per esistere. […] Non sono malata. Sono rotta. Ma sono felice, fintanto che potrò dipingere.
(Frida Khalo)


A volte basta un solo attimo. Qualche secondo. E non sei più quella di prima. Frida Khalo, il 17 settembre 1925, vide spezzarsi davanti agli occhi, in una pozza di sangue, la vita così come la conosceva fino a quel momento. Aveva solo 18 anni quando una trave le perforò il corpo, lacerandola dal fianco al pube. Non le furono date speranze, fu messa tra le persone a cui non sarebbe stato prestato soccorso perché ferite quasi mortalmente. La pelona, da quel giorno, non la lascio più. Quella bestia feroce, enorme, a volte subdola e silente, che cercò di continuo di insinuarsi nel suo corpo per portarla via. Quell’ombra che la seguì sempre dappertutto, senza mai darle un attimo di respiro. La morte. Eppure, Frida non ne ebbe mai paura. Soffrì, e terribilmente, dilaniata dal dolore fisico e spirituale, senza mai dargliela vinta. La pelona non l’avrebbe dovuta avere. E, forse, non l’ha mai avuta. Perché se è vero che ormai Frida si trova sotto terra da molti anni, la sua anima continua a vivere, con la stessa potenza di quando era in questo mondo, nei suoi quadri. Frida fece dell’arte il suo riscatto, la sua rivincita sul mondo, la sua vendetta contro la pelona. Gridò la vita che le restava ogni giorno, forte della sua personalità e della voglia di ribellarsi che non l’abbandonò mai. I suoi quadri sono la pura espressione della sua interiorità, un viaggio attraverso il dolore di un’anima che non si accontentò mai di rimanere in superficie ma che scavò a fondo. Che si scavò a fondo. Senza mai avere paura di guardarsi dentro e di scoprirsi diversa da come pensava di essere. Amò, intensamente, uomini e donne, così come intensamente si dedicò a tutto quello che incontrò nella sua vita. A testa alta. Anche quando la persona più importante della sua vita, l’unica a cui aveva lasciato il suo cuore, la tradì con sua sorella. Come il cervo del suo quadro, sanguinante, ferito, colpito da mille frecce, attraversò periodi nella sua vita dove non v’era altro che tristezza e buio, dove i riferimenti erano andati persi. Fu squarciata a due, divisa tra l’amore e l’odio, tra la morte e la vita. Perennemente sull’orlo del baratro e ai piedi dell’immensità. Vomitò nella sua arte tutto ciò che la distruggeva e le faceva paura, tutti i suoi sentimenti più meschini e intimi. Sfidò la natura, la vita stessa, vincendole sempre. E oggi, ogni volta che parliamo di lei, Frida continua a vincere. Continua a sorridere, con quel fascino di cui tutti si innamorarono. Continua la sua battaglia contro la morte, l’ingiustizia, la paura, la debolezza. Mostrandoci che non c’è mai niente di troppo difficile. Niente che non possiamo superare. Tanto, invece, da vivere e amare. Grazie, Frida.

Il cervo ferito, Frida Kahlo



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