lunedì 14 novembre 2016

Cercarsi. Trovarsi, forse - L'amante di Wittgenstein

Cercavo. Dio solo sa con che inquietudine cercavo. Cercavo qualcuno, ovunque fosse.
I confini si sfumano, i punti di riferimento si perdono. Sei persa. E sola. 
Questa la premessa di L’amante di Wittgenstein, un libro che più che romanzo è un diario, un lunghissimo ed estenuante flusso di coscienza che non ti dà pace e avvolge tutto, in un moto perpetuo, incessante, frammentario. Cosa succede quando tutto è confuso e non sai più chi sei? Come fare per ritrovarsi? La protagonista del libro di Markson deve scontrarsi con questa realtà. E ci sbatte la testa, letteralmente, cercando alla ceca la strada giusta. Non sa niente del suo passato, ma ha davanti i resti di quel mondo che è caduto a pezzi e che prima era il suo. E allora inizia a raccogliere, tassello dopo tassello, quello che trova, provando ogni ipotesi possibile. Cerca di ricostruire la sua vita, e ricostruirsi, in un'operazione che è un incessante mettersi a confronto con se stessa. Indaga le sue parti più nascoste, il dolore che ha lasciato, i pesi che ha voluto abbandonare. E scopre che, nel momento in cui se ne è scaricata, credendo di riuscire - finalmente - a vivere, si è persa per sempre. Ha distrutto la parte del suo io più importante. Ha cancellato la sua identità.
Perché i ricordi - per quanto duri fardelli, compagni ingombranti, disturbatori seriali - ci costruiscono. Si attaccano alla nostra pelle più intima e diventano squame per proteggersi dal mondo; inevitabilmente competono a innalzare quell'essere che da quel
L'amante di Wittgenstein non è un libro di risposte, semmai è un abisso senza fine di interrogativi; un continuo confrontarsi con la realtà nel suo incessante divenire; un guardarsi con occhi diversi e scoprirsi altri da chi pensavamo di essere. E, alla fine, capire quanto soli siamo al mondo e quanto vuoto si nasconde nelle nostre anime decadenti; quanto la nostra stanchezza esistenziale e il nostro dolore ci portino a quell'alienazione sempre più profonda e buia  che Degas aveva previsto con secoli e secoli d'anticipo nel suo Assenzio.
momento in poi ci apparterrà. Separarsene è un suicidio, seppur un su
icidio affascinante.

Eppure, per un po' ho desiderato quasi di piangere. E forse ho pianto, quel pomeriggio. Per quanto forse era solo stanchezza, nascosta dietro il velo di follia che mi proteggeva e che quel pomeriggio era caduto. 


E allora, come fare per vivere? 

Markson non lo dice, ma lo sussurra: immergiti nel tuo abisso. Guardati senza paura e affronta la tua solitudine. Sbatti la testa forte anche cento volte contro i tuoi spigoli, ma poi spezzali. 
Sii coraggioso. 

Ed è solo in chi questo coraggio ce l'ha, che le sue parole bucheranno nel profondo. 

1 commento:

  1. Ciao! Ho trovato il tuo blog un po' per caso e vorrei farti i complimenti per il modo poetico in cui scrivi le recensioni. Riesci davvero a trasmettere il cuore ed il messaggio di un romanzo! Ti seguo volentieri :-)

    Se vuoi passare a dare un'occhiata al mio blog, mi fa piacere!

    lanostrapassionenonmuore.blogspot.it

    A presto :-)

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